Su Instagram ho scelto di chiamare la mia pagina “Creatura Contenta”, in realtà voleva essere un gioco di parole per evocare la mia professione di content creator, ma ho trovato che fosse una definizione capace di rappresentare anche la mia personalità (o almeno una parte di essa).
Poi una sera a cena ho cominciato a parlare di felicità e contentezza con il mio compagno e abbiamo fatto un viaggio all’origine delle parole, perché è proprio lì che si nascondono significati a cui, a volte, diamo poca importanza, ma che custodiscono verità utili da rintracciare.
Briciole lasciate dal linguaggio nel corso dei secoli per ricordarci da dove veniamo.
Felicità viene dal latino “felix” la cui radice “fe-” significa abbondanza, ricchezza, prosperità.
Fertilità ha la stessa radice e se ci pensate un terreno fertile è un terreno che consente di seminare, sviluppare e aprire alla possibilità di cose nuove.
Anche in inglese “happy” viene a happen…ecco quindi che gli accadimenti e la ricerca costante di qualcosa di nuovo sono opportunità di felicità. Questo crea un legame stretto con il desiderio e con ciò che anche di negativo ne può conseguire. Ansia, preoccupazione, senso di fallimento, scoramento, prestazione.
Diversamente, la contentezza viene da “contenere”, essere contenti significa dunque farsi contenitore.
Ampliare le nostre capacità di contenere (esperienze, emozioni, conoscenza, ecc.) ci permette di vivere in uno stato di contentezza.
Se essere felice rappresenta una dimensione personale, essere contenitore può avere un aspetto altruistico e collettivo, perché essere capiente comporta anche la capacità di “capire” gli altri e abbracciare con la mente. Forse, persino amare.
Più cose conteniamo più ci arricchiamo di punti di vista, imparando ad essere empatici, ad ascoltare e capire le persone.
Non c’è nulla di male ad essere felici e cercare la felicità, tuttavia sono convinta che la felicità sia qualcosa di transitorio, legata ad attimi di vita che inseguiamo o che ci accadono e vivono per poco tempo.
Cosa accade quando il contenitore raggiunge la sua massima capienza?
Di fronte alla preoccupazione che il contenitore, superato il proprio limite, lasci traboccare tutto ciò che vi abbiamo custodito, rischiando di perdere la nostra essenza, mi sono data una risposta appellandomi al principio dell’universo.
È vero che un contenitore ha un limite a ciò che può contenere, ma se fosse flessibile potremmo espanderlo come un universo dentro cui noi stessi cresciamo.
Il nostro contenitore è come un corpo allenato, capace di più imprese, di movimenti più ampi, di una resistenza maggiore. Alleniamo dunque la nostra capacità di essere contenti, un’emozione alla volta, un incontro dopo l’altro, una scoperta legata a quella successiva.
Forse le dimenticheremo, come io stessa spesso dimentico i libri che leggo, i quadri che vedo, le musiche che ascolto, ma restano lì, ci strutturano, ci nutrono. E poi all’improvviso, per qualche sbalzo del cuore, ritornano.
Mi sono fatta contenitore fin da bambina attraverso i libri.
Mi sono fatta contenitore attraverso i viaggi e le amicizie.
Mi sono fatta contenitore attraverso la scrittura e tutti i personaggi e le storie che ho inventato.
Mi sono fatta contenitore di attimi di felicità, di malinconie, di tenerezza, di condivisione, di paure, di sogni…
Immagino, dunque, questo blog come un contenitore, in cui spero voi possiate trovare spunti per capire meglio lo storytelling e il branding. E disegnare un percorso per il vostro brand.